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Investimenti: 5 falsi miti da sfatare

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Filippo Iachello

8 min

Investimenti: 5 falsi miti

Sai che non è vero che per investire bisogna, per forza, seguire con costanza i mercati? Scopri i 5 falsi miti più diffusi sugli investimenti

Quali sono i falsi miti per gli investitori attivi sui mercati? Il pane integrale ha meno calorie di quello normale, i carboidrati la sera fanno ingrassare e i cani vedono il mondo in bianco e nero. Un classico. I falsi miti costellano la nostra quotidianità fino a quando, all’improvviso e a volte per caso (o leggendo un articolo come questo), li scardiniamo. Ma quando si parla di soldi i falsi miti diventano quasi leggende metropolitane. Quali sono però i più comuni nel dorato mondo degli investimenti?

Scoprili in questo articolo: dall’orizzonte temporale che i giovani investitori credono di avere, fino al paradosso dell’investitore iper-informato che finisce per farsi del male da solo.

Il PAC è il modo migliore di investire

Cooosa? Siamo partiti subito con una cannonata, eh? Ma davvero questo è un mito? Fermo, non scappare, che ora ti spiego. Il PAC (Piano di Accumulo Capitale, per gli amici) è indubbiamente un ottimo metodo per mettere fieno in cascina, soprattutto se non hai a disposizione ingenti quantità di denaro liquido o se l’idea di versare “tutto subito” ti fa venire l’orticaria. Inoltre, mettere da parte regolarmente una sommetta, oltre a mitigare il rischio di entrare nel mercato nel momento sbagliato, è un modo super efficace per darsi una disciplina da monaco tibetano, specie con i versamenti automatici. E poi, diciamocelo, riduce l’impatto emotivo del vedere i mercati fare le montagne russe.

Però, e c’è sempre un però, non è matematicamente il modo più efficiente per investire. Dal punto di vista statistico, il PIC (l’investimento in un’unica, coraggiosa soluzione) tende ad offrire rendimenti superiori. Perché? Semplice: tutto il capitale si mette subito al lavoro e sfrutta appieno la magia dell’interesse composto fin dal primo giorno. Inoltre, dato che i mercati, nel lungo periodo, tendono a salire, le probabilità di acquistare un asset a un prezzo più basso oggi sono generalmente maggiori rispetto a domani o dopodomani. 

Infine, consideriamo che l’efficacia del PAC nel mediare il prezzo d’acquisto durante le fasi ribassiste, quella che tanto ci piace raccontarci, è in realtà piuttosto limitata, soprattutto se il portafoglio è ancora nelle sue, diciamo, “fasi di crescita”. In altre parole, i primi versamenti di un PAC hanno più chance di fare la differenza sul prezzo medio, ma questa capacità si annacqua man mano che il gruzzoletto cresce.

Detto questo, sia chiaro: il PAC rimane un ottimo modo per investire e, contemporaneamente, risparmiare. Anzi, per tantissimi investitori, probabilmente la stragrande maggioranza, è la soluzione migliore. Non sarà il più efficiente in termini assoluti, ma a volte la pace dei sensi vale più di qualche zero virgola di rendimento.

Più rischio significa più rendimento

Questa sembra una bestemmia finanziaria, un affronto al sacro Graal del “no pain, no gain”. Come può il bilanciamento tra rischio e rendimento essere un mito?

Per spiegarlo dobbiamo sfiorare il concetto fisico/statistico di ergodicità. In breve, un sistema si dice ergodico se, nel lungo periodo, la media temporale di un singolo percorso equivale alla media su tutti i possibili percorsi. Se non ci avete capito nulla, siete in buona compagnia.

Ok, proviamo con un esempio più terra terra. Mettiamo caso che il tuo motociclista preferito sia un fenomeno, il più talentuoso del campionato. Quando finisce una gara, è quasi sempre sul podio. Allo stesso tempo, però, guida come un pazzo scatenato: frena all’ultimo nanosecondo, impenna in curva ma purtroppo spesso cade e si infortuna. Per semplificare, diciamo che ha il 20% di probabilità di vincere ogni gara, ma anche un bel 20% di farsi male seriamente e saltare il resto del campionato. Quali sono le sue probabilità di vittoria in un campionato di 10 gare?

L’intuito ci suggerirebbe che, con il 20% a gara, su 10 gare potrebbe portarne a casa circa 2. Logico, no? No. Il rischio elevato di farsi la bua complica tutto. Se il nostro eroe spericolato si infortuna seriamente (20% di probabilità ad ogni singola gara, ricordiamolo), addio sogni di gloria. La sua partecipazione al resto del campionato sarebbe compromessa, azzerando le chance di vittoria finale. Il nostro campione potrebbe vincere due gare e poi passare il resto della stagione a guardare gli altri dal divano con una gamba ingessata.

Qui entra in gioco la non ergodicità: la sua bravura è legata a doppio filo con la sua propensione al rischio che può portarlo alla “rovina” (sportiva, in questo caso). Negli investimenti, un rischio elevato, anche se associato a rendimenti potenzialmente stellari, può portare alla “rovina” dell’investitore, rendendo le medie storiche inutili. In contesti non ergodici, la priorità assoluta diventa la sopravvivenza, non la massimizzazione del rendimento. Per scongiurare questi rischi da brivido, la parola magica è diversificare, per ridurre la probabilità di quelle perdite da cui non ci si riprende più.

Per investire bisogna essere informati

Forse anche questo vi stupirà, ma a volte più un investitore è beatamente ignorante (nel senso che ignora, sia chiaro) ciò che accade sui mercati, più è efficace. Sì, avete letto bene. Questo perché chi è sommerso da informazioni, grafici, opinioni e tweet allarmistici è molto più propenso a prendere decisioni troppo frequenti e impulsive.

Inoltre, chi si sente un piccolo Warren Buffett, super informato e sempre sul pezzo, può cadere nella tentazione di sperimentare, utilizzare strumenti finanziari che sembrano usciti da un film di fantascienza, acquistare asset “esotici” o costruire strategie talmente complesse da far impallidire un ingegnere della NASA. Il risultato? Spesso, più rischi e meno controllo. L’investitore super-informato a volte finisce per assomigliare a quel cuoco che, a furia di aggiungere spezie “particolari”, rovina un piatto semplicemente buono.

I giovani hanno un lungo orizzonte temporale

Più che un falso mito, qui siamo di fronte a una fallacia logica bella e buona, un classico errore di prospettiva. Spesso si pensa che i giovani abbiano davanti praterie di decenni per investire. Vent’anni, venticinque, trenta… un’eternità! Questo accade perché ragioniamo come se stessimo giocando a un videogioco, con l’obiettivo di massimizzare il punteggio finale (l’accumulo di capitale per la pensione).

La realtà, però, è ben diversa e, se sei giovane e ci rifletti un attimo, te ne accorgi subito: è altamente probabile che i soldi che hai in mente di investire ti serviranno ben prima della tua dorata pensione, che tra l’altro non sappiamo se riceverai, “vero INPS?” L’anticipo per la casa, il matrimonio, un master costoso, quel viaggio che sogni da una vita… Insomma, prima o poi quei soldi vorrai (o dovrai) usarli.

Per questo motivo, l’idea di mettere tutto sull’azionario perché “tanto c’è tempo” è un po’ come preparare una maratona mangiando solo dolci. È saggio affiancare al mercato azionario – che spesso ha bisogno di tempo per dare frutti – altri tipi di asset con un diverso profilo di rischio/rendimento. Qualche esempio? Obbligazioni o ETF obbligazionari, ma anche criptovalute o materie prime.

L’ETF globale è il santo graal che replica fedelmente l’economia mondiale

Ed eccoci al dogma dei dogmi per l’investitore da forum, il cavallo di battaglia di molti: il mitologico “VWCE & Chill” (o un suo equivalente globale). Una filosofia di vita, quasi una religione, con tanto di scomuniche per chi osa deviare dalla retta via dell’indice globale. Molti investitori approcciano il mondo della finanza con questo atteggiamento quasi fideistico, ignorando la reale natura delle proprie scelte.

La prima cosa da capire è che la borsa non rappresenta fedelmente l’economia mondiale nella sua interezza, ma solo un sottoinsieme, per quanto grande, di aziende che scelgono (e possono) quotarsi. Negli Stati Uniti, la cultura finanziaria e la propensione al mercato azionario sono talmente radicate che un numero enorme di grandi aziende è quotato. In Europa, invece, e in altre parti del mondo, molte imprese di successo restano felicemente private (non si quotano in borsa), preferendo altre forme di finanziamento. Di conseguenza, un ETF azionario globale, per quanto diversificato, si perde per strada pezzi importanti dell’economia reale.

Come non includere in questo discorso il mondo crypto? In particolare Bitcoin che negli ultimi anni, grazie alla sua crescita in un certo senso prevedibile per via della ciclicità dei suoi movimenti, ha fatto la fortuna di tantissimi investitori. Oggi è uno degli asset più popolari al mondo, grazie anche agli ETF emessi dai grandi fondi di investimento americani che lo sostengono. Un oro digitale, un bene rifugio cruciale per l’era moderna. L’offerta matematicamente finita e la natura decentralizzata di Bitcoin lo pongono come un baluardo contro le politiche monetarie sregolate e i “pasticci” delle banche centrali. Di fronte al dilagante debito pubblico statunitense e alle continue turbolenze che minano la fiducia nelle valute tradizionali, Bitcoin si propone non come semplice alternativa, ma come soluzione di resilienza e riserva di valore strategica. Diventa così un tassello fondamentale per una diversificazione patrimoniale consapevole, volta a proteggersi da un sistema finanziario tradizionale con crescenti e manifeste fragilità.

La sua pur innegabile volatilità è un tratto tipico di un’asset class rivoluzionaria in fase di adozione globale. Ignorare Bitcoin oggi, nel grande risiko finanziario, equivarrebbe a ripetere l’errore di chi, ai suoi tempi, sottovalutò la portata di internet.

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