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Sale la tensione: USA, dazi e guerra commerciale

GA
Giuseppe Avolio

5 min

Sale la tensione: USA, dazi e guerra commerciale

Il Presidente degli USA Donald Trump annuncia i “dazi doganali reciproci”: è l’inizio di una guerra commerciale dichiarata dagli Stati Uniti al resto del mondo?

Dal giorno dell’insediamento, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dimostrato di voler mantenere le promesse fatte in campagna elettorale: è pronto a dichiarare guerra commerciale al mondo attraverso l’imposizione di dazi sulle merci importate, in quello che ha simbolicamente chiamato “Liberation Day”. Gli USA si isolano e il mondo si adatta, cosa sta succedendo?

Cosa sono e come funzionano i dazi? 

I dazi sono una tassa commerciale che un paese decide di applicare sulle merci che importa per spingere i propri cittadini a scegliere beni di produzione nazionale, col fine ultimo di proteggere e favorire le proprie imprese dalla concorrenza estera. L’idea è scoraggiare l’acquisto di merci straniere attraverso l’imposizione di una tassa ad hoc, espressa in termini percentuali, spesso a carico dell’importatore.

In parole povere: l’Italia vuole incentivare la vendita di un determinato bene che produce internamente e impone dei dazi doganali al 25% a paesi che già lo esportano in Italia. Se il costo finale di tale oggetto nel paese di produzione è di 10€, sarà di 12,5€ nei paesi che lo esportano. Segue che i consumatori italiani saranno spinti a preferire beni prodotti nel loro paese perché più economici. Ma funziona sempre così?

Un dazio non fa primavera

Il processo non è sempre automatico: l’imposizione di dazi non è necessariamente correlata alla crescita economica. Questo per alcuni motivi: 

  • Dipende dal tipo di prodotto: più un prodotto è essenziale, più i consumatori saranno disposti ad accettare l’onere del dazio e del sovrapprezzo. In tal caso, continueranno a scegliere merci importate piuttosto che di produzione nazionale, con conseguente aumento dell’inflazione. 
  • C’è il rischio di ottenere l’effetto contrario: se i dazi doganali riguardano beni di prima necessità, si corre il rischio di colpire più duramente le fasce di popolazione con reddito più basso, perché hanno meno margine di spesa. In breve: 2€ in più sul detersivo hanno un impatto maggiore su chi guadagna 1000€ rispetto a chi ne prende 5000€.
  • Front Loading: comportamento che le imprese adottano per paura di guerre commerciali imminenti che consiste nel fare scorta di quella merce che si teme sarà sottoposta a dazi. Fenomeno verificatosi recentemente con la forte importazione di tequila dal Messico, o del vino dall’Italia, verso gli Stati Uniti. 

Perchè Donald Trump vuole mettere i dazi: M.A.G.A e America First

Come è noto, M.A.G.A.Make America Great Again – è stato lo slogan della campagna elettorale che ha portato Donald Trump ad essere il 47esimo Presidente degli Stati Uniti d’America. Uno dei punti fermi di questa campagna è stato l’“America First”, un programma finalizzato a privilegiare le questioni interne, isolazionistico e protezionistico, a scapito della tradizionale vocazione espansionistica che caratterizza il paese a stelle e strisce. 

Infatti, in occasione del discorso di insediamento del 20 Gennaio, il tycoon newyorkese ha dichiarato: “Durante ogni singolo giorno dell’amministrazione Trump metterò semplicemente l’America al primo posto, America First” per “restituire al popolo la sua fede, la sua ricchezza, la sua democrazia e la sua libertà… Il declino dell’America è finito”. 

Oltre alle questioni di politica interna – come immigrazione e sicurezza – l’America First passa ovviamente per la politica economica: la scelta di scatenare una guerra commerciale deriva dal fatto che, storicamente, gli USA sono un paese fortemente importatore con un deficit (il bilancio negativo netto fra export e import) di 1,2 trilioni di dollari. Donald Trump ha promesso che avrebbe fermato tutto ciò e che con lui “l’età dell’oro dell’America inizia proprio adesso. Da oggi in poi, il nostro Paese rifiorirà e sarà rispettato di nuovo in tutto il mondo”. 
Il tempo gli ha dato ragione?

Effetto Trump sulla Borsa: i listini americani

È presto per dirlo, ma al momento i dati non sono affatto positivi: a un’iniziale euforia è seguito un calo generalizzato dei principali listini del mercato americano. Dal giorno stesso in cui Trump si è insediato, S&P 500 e Nasdaq, i due indici più importanti della borsa americana, hanno perso rispettivamente il 7% e il 10%. Inoltre, sono calate in modo netto anche le aspettative sulla crescita economica degli Stati Uniti (dal 2,2% al 2%) nel 2025 così come, al contrario, sono cresciute le attese dei consumatori sull’inflazione (dal 4% al 5%). 
In aggiunta, il giorno dopo aver annunciato i dazi al 25% su tutte le auto di importazione, la General Motors – una delle principali case americane – ha registrato perdite in borsa per il 10%.  Il colosso automobilistico importa moltissimo dal Messico, tra auto e componentistica, e subisce a pieno l’effetto dei dazi doganali.

Non tutti i mali vengono per nuocere: l’Eurozona prende iniziativa

Situazione diversa in Europa. Nonostante sia il bersaglio principale della guerra commerciale – il vicepresidente JD Vance ha descritto gli europei come “scrocconi” – i listini del Vecchio Continente stanno reagendo sorprendentemente bene: dall’insediamento di The Donald, la borsa di Francoforte ha registrato un +6% mentre quella di Milano un +6%. Tra le varie motivazioni, il piano europeo da 800 miliardi “Readiness2030” e quello tedesco da 1000 miliardi a dare impulso all’economia. La pressione della politica economica trumpiana sembra aver risvegliato un dormiente senso di appartenenza europeo. 

Infatti, nelle scorse settimane gli stati europei e non – come il Canada – hanno raccolto il guanto di sfida e hanno messo in moto vari processi di cooperazione volti alla costruzione di un’Europa allargata unita e compatta, consapevole di essere il secondo mercato globale per commercio e di rappresentare circa il 17% del PIL mondiale.

La guerra commerciale non fa bene a nessuno, neppure a chi la scatena

È la conclusione che dovrebbe seguire quanto esposto sopra: l’isolazionismo e il protezionismo made in M.A.G.A., secondo numerosi analisti, porterà a conseguenze negative dal punto vista economico soprattutto agli Stati Uniti. 
L’Europa, senza l’alleato commerciale di riferimento, sarà costretta a guardare verso altri mercati. L’opzione più probabile è senza dubbio la Cina, che si sta già muovendo in questo senso: oltre ai numerosissimi “Free Trade Agreements” – Accordi di Libero Scambio – già in essere, è di questi giorni l’intesa commerciale a tre fra Corea del Sud, Giappone e la stessa Cina, in risposta ai dazi promessi da Donald Trump.

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