
Il rapporto annuale ISTAT 2025 offre una fotografia del quadro economico, demografico e sociale dell’anno appena trascorso. Cosa ci dicono i dati?
Il rapporto annuale ISTAT del 2025 analizza ed elabora i dati del 2024, descrivendo la situazione italiana dal punto di vista dei cambiamenti economici, demografici e sociali. Nello specifico, esamina i punti di forza e di debolezza del nostro Paese, concentrandosi sulla dimensione macroeconomica e sul profilo della popolazione italiana a livello di demografia, istruzione e redditi da lavoro. A che punto siamo?
Economia italiana: cosa ci dicono i dati?
Il Rapporto annuale ISTAT 2025 comincia col resoconto del quadro macroeconomico italiano, cioè con la descrizione complessiva dello stato di salute e delle prospettive dell’economia dell’Italia. Secondo quanto rilevato dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT, appunto), l’economia italiana nel 2024 ha continuato a crescere in modo lento ma graduale, nonostante la situazione europea attuale non sia delle più dinamiche: come nel 2023, il PIL (Prodotto Interno Lordo) è aumentato dello 0,7%, meno rispetto a Francia (+1,2%) e Spagna (+3,2%), ma di più rispetto alla Germania (-0,2%).
Le stime per il primo trimestre del 2025 vedono una crescita congiunturale dello 0,3%, che corrisponde ad una crescita annua acquisita dello 0,4%. Nel caso in cui ti stessi chiedendo cosa significano queste due righe, per “crescita congiunturale” si intende la variazione percentuale del PIL rispetto al trimestre precedente, mentre la “crescita annua acquisita” ci dice quale sarebbe il risultato a fine anno se l’economia restasse immobile. Unite, queste due misure servono a tracciare un quadro economico complessivo che consideri il brevissimo periodo (trimestre) e l’anno in corso. Sempre per fare un paragone, l’andamento congiunturale italiano è stato superiore a Germania e Francia (+0,2% e +0,1%) ma inferiore alla Spagna (+0,6%).
Il Rapporto segnala una buona spinta da parte della componente nazionale – formata da consumi nazionali e investimenti – con calo della domanda estera. Questa contrazione è dovuta alla forte incertezza causata dal contesto geopolitico attuale e dalle misure protezionistiche, imposte e poi sospese, dell’amministrazione statunitense. Per queste ragioni, ci dice l’ISTAT, le previsioni per l’Italia da parte delle varie istituzioni nazionali e internazionali vedono un rallentamento dell’espansione economica nel 2025, al pari delle altre economie avanzate. Il saldo della bilancia commerciale, cioè la differenza tra export e import, nel 2024 è salito fino a 55 miliardi di euro, rispetto ai 34 miliardi del 2023.
In che stato è il mercato del lavoro?
Secondo l’ISTAT, nel 2024 il numero degli occupati è cresciuto di molto (+1,5%), sostenuto dai contratti a tempo indeterminato, mentre si è ridotta del 6,8% la fetta dei contratti a termine. Inoltre, nel Q1 del 2025, gli occupati sono aumentati dello 0,7% rispetto a dicembre e dell’1,9% – 450.000 nuovi contratti – rispetto a marzo 2024. In ogni caso, a fine 2024, il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni si attesta al 62,2% (23,9 milioni di persone): un buon numero, anche se di molto inferiore a quello della Germania (circa il 77%) e lievemente più ridotto rispetto a quello di Francia (69%) e Spagna (66%).
Come abbiamo anticipato, il contratto a tempo pieno e indeterminato domina e riguarda il 63% dei lavoratori, con un aumento del 2,1% rispetto al 2023 e del 4,8% rispetto al 2019. Tuttavia, nel 2024, il Rapporto segnala che il 30% delle donne lavora in part-time e che spesso, non è una scelta.
Finanza pubblica e bilancio dello Stato
Come si valuta lo stato della finanza pubblica? Col saldo primario, quindi calcolando la differenza fra spese dello Stato (al netto degli interessi sul debito, ovvero togliendo da questa cifra gli interessi sui titoli di stato come i BTP) ed entrate dello Stato. Il risultato può essere positivo, l’avanzo primario, o negativo, cioè il disavanzo primario. Il Rapporto annuale dell’ISTAT ci comunica che, nel 2024, la finanza pubblica è migliorata in modo significativo: il saldo primario è positivo per la prima volta dal 2019 a causa dell’aumento delle entrate, quindi delle tasse, e della minima riduzione delle uscite, dunque della spesa pubblica. Tuttavia, il rapporto fra debito pubblico e PIL sale di 0,7 punti percentuali, dal 134,6% al 135,3%.
La situazione sul versante prezzi e retribuzioni
Questa sezione inizia con una buona notizia: nel 2024 si è consolidato il processo di disinflazione. Il Rapporto indica che l’Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i paesi europei (IPCA, una metrica che serve a standardizzare le metodologie di misurazione dell’inflazione dell’Eurozona) è passato dal 12,6% annuo dell’ottobre 2022 all’1,1% nel 2024, il valore più contenuto tra le grandi economie europee. Le proiezioni per il 2025, però, vedono un leggero incremento: i prezzi sono tornati a salire in modo moderato nei primi mesi di quest’anno.
Il discorso non è così roseo quando si parla di retribuzioni nominali. Rispetto a gennaio 2019, a causa del boom inflazionistico causato da Covid e guerre, nel 2022 la perdita di potere d’acquisto per un lavoratore era superiore al 15%, mentre a marzo 2025 è pari al 10%. In altre parole, significa che a marzo scorso, con uno stipendio di 1500€, compravi quello che nel gennaio 2019 costava 1350€. Il Rapporto poi tratta la retribuzione lorda di fatto, in quanto indicatore migliore per calcolare realmente la perdita o il guadagno di potere d’acquisto. La differenza con la retribuzione nominale è nel considerare come parte dello stipendio anche gli extra, tra cui bonus, straordinari, tredicesima, quattordicesima e via dicendo. Considerando questo parametro, allora la perdita di potere d’acquisto dal 2019 al 2024 risulta più contenuta: 4,4% in Italia, 2,6% in Francia e 1,3% in Germania. La Spagna, in controtendenza, guadagna il 3,9%.
Il nodo della produttività
La produttività è un fattore cruciale perché misura l’efficienza con cui si producono beni o servizi: indica quanto output si riesce ad ottenere utilizzando una certa quantità di input. Detto in parole semplici, ci spiega quante risorse umane o materiali – input – sono necessarie per la realizzazione del prodotto finale – output. La regola aurea, naturalmente, è produrre di più sprecando di meno. Per capire come l’aumento della produttività si rifletta sul miglioramento dell’economia di un paese, può essere utile il classico esempio dell’artigiano: un artigiano costruisce una sedia in 6 ore e la vende a 50€. A un certo punto decide di investire dei soldi per comprare un macchinario. Ora produce due sedie nello stesso tempo e guadagna il doppio. L’artigiano quindi spende meno in termini di ore lavorate per sedia, può abbassare i prezzi, accrescere la clientela e assumere dipendenti proprio perché vende di più. Potrà poi reinvestire i profitti in altri macchinari o in altri dipendenti, in un circolo virtuoso che, moltiplicato per il numero di aziende, contribuisce all’espansione dell’economia nazionale.
Il Rapporto annuale dell’ISTAT, purtroppo, ci dice che il sistema produttivo italiano presenta delle criticità strutturali come la dimensione delle imprese, la specializzazione e l’innovazione delle produzioni, che hanno un effetto frenante sull’espansione economica. Nello specifico, nel 2024 la crescita dell’occupazione è stata superiore a quella del valore aggiunto. Per valore aggiunto, si intende la nuova ricchezza creata da un’attività produttiva – la nazione Italia in questo caso – in un determinato momento. Cosa succede se l’artigiano assume dipendenti ma non incrementa le vendite? Esattamente il contrario di quanto detto nell’esempio. Infatti, l’ISTAT scrive che lo squilibrio fra occupazione e valore aggiunto ha provocato una diminuzione della produttività dell’ora lavorata dell’1,4%. L’effetto a catena di questo fenomeno provoca il rallentamento dell’economia in generale.
Popolazione e società: il quadro demografico
Nel Rapporto annuale del 2025, l’ISTAT ci dice che il trend negativo di calo della popolazione italiana prosegue: le rilevazioni di gennaio 2025 ci comunicano che gli italiani sono meno di 59 milioni. La causa principale risiede nel saldo naturale (nascite meno decessi) fortemente negativo. In particolare, le nuove nascite nel 2024 ammontavano a 370.000, circa 200.000 in meno rispetto al 2008, con un tasso di fecondità al minimo storico di 1,18 figli per donna. A questo, bisogna aggiungere i 156.000 italiani emigrati all’estero e il fenomeno della “fuga di cervelli”: in dieci anni, 97.000 giovani laureati, compresi nella fascia di età fra i 25 e i 34 anni, hanno scelto di vivere all’estero. Il saldo migratorio, con 435.000 nuovi ingressi nel 2024 (+20,5% rispetto al 2023) non basta per compensare le perdite. In ogni caso, l’Italia resta uno dei paesi più longevi al mondo, con un quarto dei residenti che ha più di 65 anni (il doppio rispetto ai minori di 15 anni), 4,6 milioni di ultraottantenni e 23.500 ultracentenari. Le previsioni per il futuro confermano queste traiettorie.
Composizione delle famiglie italiane e natalità
A quanto si legge, le tendenze descritte sono causa e conseguenza di dinamiche demografiche strutturali: le famiglie monopersonali superano il 35%, mentre le coppie con figli scendono al 28,2%. I matrimoni sono in calo da quarant’anni, dal momento che si passa dai 400.000 e oltre degli anni Settanta ai 184.207 del 2023. Ciò è dovuto sia al crollo della natalità, che banalmente riduce il numero di adulti, sia a cambi di natura sociologica, con le unioni libere sempre più diffuse anche in caso di figli. Inoltre, due terzi dei giovani tra i 18 e 34 anni vive ancora coi genitori, contro la media europea del 49,6%.
Per quanto riguarda la natalità, il Rapporto mette a confronto la generazione delle madri (nate cioè nel 1958) con le attuali quarantenni, evidenziando come la quota delle donne senza figli sia raddoppiata, dal 13% al 26% stimato, con un picco nel Sud Italia di tre donne su dieci. Infine, il primo figlio arriva in età sempre più avanzata: dai 25,9 anni per le donne nate nel 1960 ai 29,1 anni per quelle del 1970, con ritardi ancora più marcati per le generazioni più giovani.
Sistema economico e generazioni: la panoramica
L’ultimo capitolo del Rapporto annuale ISTAT 2025 indaga i mutamenti che si sono verificati nella popolazione nel corso degli anni al cambiare del sistema economico.
Evoluzione delle categorie occupazionali negli anni
Come abbiamo già riportato, l’ISTAT ci mette in guardia sulle carenze strutturali legate alla bassa produttività e alle sue conseguenze. Negli ultimi venti anni, infatti, sono cresciute le possibilità di occupazione ma non quelle di benessere economico, perché le nuove posizioni lavorative hanno riguardato soprattutto le attività ad alta intensità di lavoro e a ridotta produttività, come il settore della ristorazione.
Tuttavia, dal Rapporto si legge anche che l’evoluzione del sistema economico italiano ha portato risultati positivi come l’aumento dell’occupazione qualificata, seppure con minore forza rispetto alle altre grandi economie europee. Precisamente, tra il 2000 e il 2024 la quota di tecnici e professionisti è passata da un quarto a un terzo – cioè circa il 33% – del totale degli occupati, mentre in Spagna, Francia e Germania siamo, rispettivamente, sul 37%, 43% e 44%. Inoltre, questo trend ha riguardato anche i professionisti ICT (Information and Communication Technology), specialmente a partire dagli anni della pandemia: programmatori, data analyst e ingegneri informatici rappresentano una componente strategica per la competitività e l’innovazione dell’intera infrastruttura economica. Naturalmente, anche in questo settore siamo indietro rispetto agli altri paesi UE.
Che ruolo ha l’istruzione?
L’istruzione, ovviamente, è una leva decisiva per l’accesso a lavori più qualificati e retribuiti ed è considerata la trasformazione più rilevante nel modificare le opportunità professionali delle diverse generazioni. Tradotto, ciò significa che, negli anni, il generale innalzamento del livello di istruzione ha ampliato l’accesso a migliori opportunità lavorative per un numero sempre maggiore di persone. Nel 1980, infatti, la metà dei giovani fra i 15 e i 24 anni già lavorava, mentre nel 2024, per lo stesso range di età, due terzi sono inattivi perché studiano o si formano professionalmente. Dagli anni Novanta, poi, la percentuale di laureati fra i 25 e i 34 anni è passata dal 7% a oltre il 30%, con le donne che raggiungono anche il 37,1%. In sintesi, nel Rapporto annuale dell’ISTAT si nota come gli individui che, al momento dell’ingresso del mondo del lavoro, avevano un livello di istruzione più elevato – o lo miglioravano in corso d’opera – avevano maggiori possibilità di beneficiare di salari più alti.
Attenzione al contesto familiare di partenza
L’istruzione è una variabile determinante, ma spesso è una conseguenza della situazione di partenza. In parole semplici, questo vuol dire che i figli tendono a seguire le orme dei genitori: tra i giovani provenienti da famiglie in cui nessun genitore possiede un diploma, solo il 17,6% riesce ad ottenere un titolo di studio universitario, contro il 75% dei figli di genitori laureati. Ancora più grave, nel primo gruppo di giovani più di un terzo non arriva al conseguimento del diploma di maturità.
Il fenomeno della mobilità intergenerazionale, definito come il cambiamento nella posizione socioeconomica di un individuo rispetto a quella dei suoi genitori, è limitato ma non assente: come si legge nel Rapporto, c’è un ruolo non trascurabile delle capacità e delle scelte individuali nel determinare il proprio percorso di vita.
Chi innova in Italia? I giovani, che sono sempre di meno
Il Rapporto annuale ISTAT 2025 termina con un paragrafo dedicato ai giovani nel mondo dell’imprenditoria. Le rilevazioni registrano una quota importante di occupati sotto i 35 anni – che rappresentano il 24% della forza occupazionale – lavorare nelle imprese più dinamiche e di nuova creazione: nel 2022, il 36% di questi aveva un impiego in società con meno di 5 anni di vita e quasi il 40% operava nel settore dei servizi ad alta tecnologia. Infine, ci viene mostrata una correlazione tra capitale umano giovane, innovazione e successo dell’impresa. Entrando nel dettaglio, ma non troppo, la dotazione di risorse umane qualificate under 35 è risultata un fattore chiave che ha permesso alle imprese di digitalizzarsi con successo, innovare e mettere a segno migliori performance a livello di crescita e occupazione.
Rapporto annuale ISTAT 2025: le conclusioni
Il Rapporto annuale ISTAT 2025 si conclude con le parole di Francesco Maria Chella, Presidente dell’Istituto di Statistica. Chella parla di segnali economici positivi, come il calo dell’inflazione e l’aumento dell’occupazione, a cui si affiancano debolezze strutturali che frenano la crescita e minano lo sviluppo. Si concentra molto sulle giovani generazioni le quali, nonostante siano generalmente più istruite, si ritrovano ad affrontare redditi e opportunità lavorative inferiori – quantitativamente e qualitativamente – rispetto ai coetanei nei principali paesi UE. Il Presidente parla poi delle evoluzioni che hanno interessato il sistema economico italiano, del cambiamento delle categorie occupazionali negli anni e dei divari sociali e territoriali che, tuttora, potrebbero condizionare negativamente le prospettive future. Poi, torna sulla questione giovani: il capitale umano altamente istruito è una grande opportunità per accelerare i processi di digitalizzazione e migliorare la produttività di imprese e pubbliche amministrazioni. Per questo motivo, chiude, è fondamentale sostenere questa fascia di popolazione, contrastando le disparità nell’accesso all’istruzione, soprattutto universitaria, per facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro e promuovere l’innovazione.
Siamo giunti al termine di questo mega spiegone semplificato e sintetizzato del Rapporto annuale ISTAT 2025. La situazione, come è intuibile, non è delle migliori, a maggior ragione se comparata con le altre grandi economie europee, i nostri vicini. Tuttavia, come ha dichiarato lo stesso Presidente, è necessario sforzarsi per cambiare atteggiamento, favorendo la dinamicità e la determinazione delle nuove generazioni, per costruire un Paese che sia al passo coi tempi.
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