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Polkadot: 5 curiosità sulla crypto del Web3

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Cosimo Rosario Di Martino

4 min

Polkadot 5 curiosità crypto Web3

Polkadot è una piattaforma che fa dell’interoperabilità la sua missione. Scopri 5 curiosità sulla blockchain del Web3!

Hai già sentito parlare del Web3 e di come cambierà il nostro modo di navigare su Internet? Allora avrai sicuramente sentito parlare di Polkadot, la piattaforma multichain che promette di ospitare questo cambiamento.

Cos’è di preciso Polkadot? Non è una blockchain come tutte le altre: è una rete interconnessa di blockchain parallele, chiamate parachain, ognuna con una funzione diversa. Su Polkadot tutti possono sviluppare dei network affidandosi all’architettura di base creata dalla Web3 Foundation, l’ente svizzero dietro la blockchain.

Vuoi conoscere qualche curiosità su Polkadot e sul suo fondatore? Continua a leggere per scoprire 5 chicche sulla blockchain del Web3!

1. L’origine del nome Polkadot

Il nome Polkadot è sicuramente originale, ma perché si chiama proprio così? L’ideatore della piattaforma, Gavin Wood, aveva immaginato il suo progetto come una rete di tantissimi network interconnessi. “Polkadot” in inglese vuol dire “pois”, ed ecco svelato il mistero: Wood si è lasciato ispirare dalla fantasia a pallini che tutti conoscono! Davvero un nome azzeccato.

2. Gavin Wood ed Ethereum

I più ferrati forse lo sapranno già, ma il fondatore di Polkadot ha collaborato alla programmazione di Ethereum nel lontano 2015. Tutti conoscono Vitalik Buterin, ma Gavin Wood è stato il CTO (Chief Technology Officer) di Ethereum, contribuendo allo sviluppo del progetto.

È per questo che la vision delle due piattaforme presenta molte similitudini: entrambe sono studiate per essere scalabili, sicure e interoperabili con altre blockchain.

3. Non ci forkeremo mai

Ti viene il mal di testa a pensare a tutti gli hard fork che ha subito Bitcoin? Hai paura che possa succedere qualcosa ai tuoi Ether durante l’aggiornamento di Ethereum? Questi problemi non esistono con Polkadot!

Gli hard fork, come Bitcoin Cash o Ethereum Classic, sono sempre dei momenti divisivi per la community della crypto interessata. In un sistema decentralizzato come quello delle blockchain questi eventi sono stressanti e spesso senza una soluzione chiara, lasciando il valore dei token in balia del mercato al ribasso. Polkadot abbandona il sistema dei fork perché non ne ha bisogno: la piattaforma è costruita su Substrate, che permette alla community di votare dei cambiamenti e implementarli automaticamente. No fork, no cry!

4. Kusama, un ambiente sandbox per evitare problemi

Sapevi che in miniera i minatori portavano con sé dei canarini, perché il loro malessere avvisava in anticipo i lavoratori di un eccessivo livello di gas tossici o altri pericoli.

Allo stesso modo, Kusama è definito “canary network” di Polkadot. Sviluppato da Gavin Wood, Kusama serve proprio per fare beta-testing di dapp e progetti nuovi senza intaccare la piattaforma originale, e assicurandosi che tutto funzioni come si deve.

L’idea di creare un ambiente di test è venuta al fondatore di Polkadot dopo che un bug aveva fatto fallire clamorosamente la loro prima ICO, nel 2017, quando i DOT erano ancora dei token basati su Ethereum. Grazie a Kusama, gli sviluppatori sperano che eventi del genere non si verifichino più. La piattaforma è stata sfruttata anche per il lancio delle prime parachain avvenuto alla fine del 2021.

5. Parachain per tutti i gusti

Il vantaggio principale di Polkadot è l’opportunità che offre agli sviluppatori di creare delle parachain su misura. Creare una blockchain totalmente nuova è dispendioso e richiede tempo; costruirne una basata su Polkadot è molto più efficiente. In più, sapere che ci si appoggia a una delle blockchain più stabili e supportate di sempre è un sollievo per ogni programmatore.

Attualmente, su Polkadot ci sono 100 slot disponibili per sviluppatori in cerca di un sistema affidabile su cui costruire la propria blockchain personalizzata. Gli slot vengono messi all’asta, e possono essere acquistati usando i DOT, cioè i token di Polkadot. Stesso risultato, lavoro dimezzato: cosa può esserci di meglio?

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